Sapersi mettere in discussione è una delle principali qualità dei grandi campioni: scaricare le colpe sugli altri, viceversa, è di chi non vuole crescere e migliorarsi.

79092-sito

La frase di copertina di Mario Alberto Kempes, centravanti della nazionale argentina campione del mondo nel 1978 e goleador famoso per la sua impetuosità e vigoria fisica fa trasparire quello che è stato, da calciatore. Un vincente, non un giocatore straordinario tecnicamente ma lottatore, autocritico e di indole positiva: le qualità di chi vuole crescere e migliorarsi. Accettare la sconfitta dunque per trarne beneficio, utilizzarla come momento di riflessione, di lavoro sugli errori e di crescita. Viceversa se c’è qualcosa che limita la nostra maturazione, nello sport, è la cultura dell’alibi, il “non è colpa mia”. Addossare ad altri o a qualcos’altro al di fuori di noi le responsabilità di un piccolo o grande fallimento, un errore o una sconfitta, altri non è che un atteggiamento da “perdenti”. Lo è perché è il più grosso ostacolo al miglioramento delle nostre prestazioni.

NON È COLPA MIA

Su questo tema sono cliccatissimi sul web i brevi monologhi di Julio Velasco, l’ex ct della nazionale azzurra di pallavolo, tutt’ora utilizzati nei corsi di formazione federali per allenatori. Non è responsabilità mia, non potevo fare di più, è stata sfortuna, colpa dell’arbitro, colpa dei compagni: fino ad arrivare a prendersela col campo o col pallone. Sono pensieri che equivalgono a una resa, un tentativo di difendere e conservare la propria autostima lesa da un problema senza voler affrontarlo. È un atteggiamento che limita la crescita, la congela. È di chi non lotta per una meta se richiede troppi sacrifici, aspetta inutilmente che le cose accadano da sole senza cercare di conquistarle e quando vanno male si guarda intorno per cercare i responsabili. La cultura dell’alibi è il peggior nemico per chi vuole fare sport agonistico ed è da perdenti, perché i perdenti non si mettono mai in discussione e non crescono, mai.